Recensione Dino Santina

Elio Uberti e il suo progetto artistico

Dino Santina

presidente dell’Associazione Amici dell’AAB

 

Fino all’età di 10 anni Elio Uberti non va oltre qualche disegno fatto a casa di tanto in tanto. È alle medie del Villaggio Badia, quartiere popolare a ovest di Brescia (sono gli anni della nuova media unica, che innalza l’obbligo scolastico a 14 anni) che Elio incontra la professoressa Segalla la quale, socraticamente, tira fuori dal giovanetto il suo talento innato: acquerelli, tempere, DAS, il nome commerciale della pasta sintetica appena brevettata, molto adatta per modellare. Addirittura, il piccolo Uberti con la sua insegnante realizza il busto di Kennedy, il presidente americano assassinato nel 1963, cui è intitolata la scuola. L’opera sarà per anni in mostra nell’atrio d’ingresso dell’istituto.

Durante gli anni delle superiori all’ITIS (scuola dura, 40 ore alla settimana, preside reazionario – si diceva allora – obbligo di giacca e cravatta per gli studenti, la contestazione del ’68 che si fa sentire), Elio trova il tempo di collaborare con lo studio grafico del fratello Fabio e disegna – a mano, non c’erano i computer – loghi, bozzetti, addirittura varie buste per i collant di una azienda mantovana che vende in tutto il mondo. È un ragazzo timido, sportivo (campionati provinciali di salto in alto), ma, soprattutto, creativo: dipinge a olio copiando dai Fiamminghi, da Renoir, si disegna e si cuce le sue camicie, progetta e si costruisce da solo il caminetto in casa, si fabbrica, con ferro e vetro, un lampadario con effetti luminosi. A metà degli anni Settanta si ispira alle correnti artistiche metafisiche, usa la biro, i gessetti, le tempere, i gessi, gli oli; è una produzione discontinua e variegata, di cui restano alcuni esempi: quadri di pannocchie, frutta, un galletto che razzola dietro casa; non tralascia neppure la scultura, col DAS realizza un Don Chisciotte a cavallo.

Sente il bisogno di darsi una formazione artistica che gli fornisca gli strumenti adeguati per inquadrare la sua abilità creativa e, nel 1985, si iscrive ai corsi della scuola d’arte dell’AAB, nella sede storica di via Gramsci, con il maestro Tinelli.  Il lavoro e il tempo dedicato agli affetti familiari gli lasciano solo pochi spazi per dare sfogo alla sua vena artistica; sono del 2000 una serie di quadretti (10×10 cm) ispirati a Salvador Dalì, conchiglie e altre figure, adatti per arredare pareti; invece non ha mai ritratto familiari, neppure i figli, bisognerà aspettare il 2015 per vedere un quadro che ritrae la nipotina Vanessa; la figura è talmente curata che quasi non distingui se si tratta di un olio o di una fotografia, i capelli, ad esempio, ti vien voglia di accarezzarli come se fossero veri.

Nel 2011 la svolta. Uberti ha i requisiti per la pensione, i figli sono sposati, il fisico ancora da atleta, la mente fresca, l’ispirazione intatta, da pignolo e precisino com’è (nel lavoro come nella sua attività artistica) finalmente può programmare di dedicarsi alla sua vena creativa a tempo pieno o quasi (c’è la mamma anziana da seguire).

Torna all’AAB e segue i corsi tenuti dal professor Schinetti. All’inizio è pittura figurativa. Ci si può innamorare dei quadri di Elio che ritraggono il glicine all’angolo di una vecchia casa di Casaglio, una frazione di Gussago, oppure lo specchio d’acqua puntato di ninfee, o, ancora, quel campo di colza, una emozionante macchia gialla vicino all’abazia di Rodengo in Franciacorta; ciascuno di essi viene esposto (e accolto con vivace interesse dal pubblico dei visitatori) in diverse edizioni di Ricognizione, la mostra annuale organizzata dall’AAB e riservata ai soci. Ma ci sono anche le incisioni, puntasecca, la stampa con il torchio.

Come diceva Eraclito, il filosofo presocratico vissuto a cavallo del 500 – 400 a.C., panta rei, tutto scorre: così l’artista Uberti cerca nuove strade, ricerca, sperimenta altre forme, materiali diversi. E, come spesso accade, è il caso fortuito, come l’amicizia con Tiziano Ghidini, titolare dell’azienda Frabosk, dove per un paio d’anni ha collaborato per la creazione della nuova linea di pentole di alta gamma Regina, a ispirargli l’uso dell’acciaio per le sue nuove composizioni. Ma questa è l’esposizione che potremo ammirare all’AAB dal 2 al 20 settembre 2017 e perciò rimando al saggio del critico d’arte, la brava Giovanna Galli, che presenta la prima personale di Elio Uberti. Ha lo studio a Gussago in via Romanino (quando si dice il caso!), ma lui punta a trovare un posto immerso nella natura, grande, circondato da prati e boschi, con un torchio da stampa tutto suo, un forno per cuocere vetro e maiolica.

Intanto, con le opere realizzate nel suo attuale studio, ci regala un evento di sicuro interesse sia per i buoni risultati della ricerca artistica, sia per l’impegno e la genuina passione, sia per le capacità di un artista bravo che, finalmente, ha l’occasione di presentarsi al pubblico il quale, ne sono certo, avrà modo di apprezzare Elio Uberti e le sue composizioni. Un’occasione davvero interessante, perché di lui sentiremo ancora parlare (per meriti artistici, ovviamente).